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Intervento percutaneo versus bypass nella malattia dell’arteria coronaria principale di sinistra


Una recente meta-analisi, coordinata da Giuseppe Biondi-Zoccai dell’Università di Torino, ha preso in esame 16 studi osservazionali, che hanno riguardato 1.278 pazienti, sottoposti ad intervento coronarico percutaneo ( PCI ) con stent a eluizione di farmaci per malattia dell’arteria coronarica principale di sinistra non-protetta.
La mortalità è risultata pari al 2.3% durante l’ospedalizzazione e al 5.5% al momento dell’ultimo follow-up, ad una mediana di 10 mesi.

Cinque di questi studi erano confronti non-randomizzati tra stent medicati e stent di metallo nudo.

La meta-analisi, pur riguardando risultati apparentemente favorevoli in fase precoce e nel medio periodo nei pazienti selezionati con malattia dell’arteria coronaria principale di sinistra non-protetta, non ha permesso di definire in modo definitivo il ruolo dell’impianto di stent a rilascio di farmaco, rispetto al trattamento elettivo CABG.

Lo studio MAIN-COMPARE ha messo a confronto l’impianto di stent con il bypass tra i pazienti con malattia dell’arteria coronaria principale di sinistra non-protetta.
Nel corso dei 6,5 anni di arruolamento, il 51% ( 1.138 su 2.240 ) dei pazienti è stato sottoposto a bypass dell’arteria coronaria, mentre il 43% ( 1.102 ) a rivascolarizzazione mediante impianto di stent.

Gli stent di metallo nudo sono stati impiegati esclusivamente durante i primi anni dell’arruolamento e gli stent medicati nella seconda metà.

Lo studio MAIN-COMPARE aveva 3 endpoint: mortalità; composito di morte, infarto miocardico onda Q o ictus; e rivascolarizzazione del vaso bersaglio.

Il periodo mediano di follow-up è stato di 2.8 anni per i pazienti sottoposti ad intervento PCI e di 3.2 anni per quelli sottoposti a CABG.

Nell’arco di 3 anni, solo il 7.2% ( 161 di 2.240 ) dei pazienti è morto.
La mortalità totale è scesa dal 7.6% nella coorte della prima fase di arruolamento al 7% nella coorte della seconda fase, solamente a causa di una riduzione nell’incidenza di mortalità nei pazienti indirizzati all’intervento PCI.
Inoltre, il declino nella mortalità nel gruppo impianto di stent si è presentato nonostante un aumento della proporzione delle caratteristiche angiografiche ad alto rischio, tra cui le lesioni alla biforcazione ( 38.2% nella prima parte dell’arruolamento versus 60.6% nella seconda parte ), malattia dell’arteria coronaria princiaple di sinistra con stenosi trivasale ( 15.9% nella prima parte versus 52.8% nella seconda parte ) e malattia dell’arteria coronaria principale di sinistra con stenosi della coronaria destra ( 29.5% nella prima parte versus 52.9% nella seconda parte ).

La più probabile spiegazione per questo beneficio di sopravvivenza è da ricercarsi nell’aumento dell’esperienza degli operatori che hanno eseguito l’intervento coronarico percutaneo, con un minore guadagno di sopravvivenza associato all’impiego degli stent a eluizione di farmaco durante la seconda fase.

Dalla prima fase di arruolamento alla seconda fase, l’incidenza di mortalità a 3 anni tra i pazienti sottoposti a CABG nell’intera coorte, è rimasta stabile all’ 8.3%. ( Xagena2008 )

Fonte: The New England Journal of Medicine, 2008


Cardio2008


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