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L’arteriopatia obliterante periferica cronica degli arti inferiori


L’aterosclerosi è la causa più frequente dell’arteriopatia obliterante periferica ( AOP ) degli arti inferiori: il restringimento o l’ostruzione di arterie provocati da un processo aterosclerotico in atto riduce il flusso di sangue nelle gambe durante l’attività fisica o anche a riposo.
L’arteriopatia obliterante periferica può presentarsi in modi diversi, dall’insufficienza arteriosa asintomatica al dolore in seguito a deambulazione ( claudicatio intermittens ) e a riposo, la cui intensità è direttamente proporzionale al grado di interessamento vasale e allo sviluppo di circoli collaterali.
Nelle forme più gravi di arteriopatia obliterante periferica, i pazienti sono colpiti da ischemia critica degli arti inferiori, con deterioramento della loro funzionalità, tanto che talora ne può essere richiesta la rivascolarizzazione chirurgica o, addirittura, l’amputazione.
Poiché l’ arteriopatia obliterante periferica è quasi sempre espressione di un processo aterosclerotico grave e diffuso, quanti ne sono colpiti presentano un rischio elevato di complicazioni cardiache e cerebrovascolari, soprattutto se non ricevono consigli ed indicazioni per attuare adeguati interventi di prevenzione e terapia.

Profilo dell’arteriopatia obliterante periferica degli arti inferiori

L’arteriopatia obliterante periferica è di solito provocata da processi aterosclerotici in atto a livello dell’aorta addominale inferiore, dell’arteria iliaca, femorale, poplitea, che riducono il flusso di sangue nei vasi delle gambe, soprattutto durante l’attività fisica. La sintomatologia che consegue a stenosi od occlusione associate alle placche aterosclerotiche è molto variabile, dipendendo dal grado di ostruzione arteriosa e dallo sviluppo di circoli arteriosi collaterali negli arti inferiori. In rapporto alla sua gravità, l’arteriopatia obliterante periferica può pertanto presentarsi in modi differenti, variando dalla forma asintomatica, alla condizione sintomatica ( debolezza muscolare, claudicazione intermittente ) fino all’ischemia critica degli arti, in cui parte o tutta la funzionalità degli stessi è messa a repentaglio dal processo patologico in atto.

Il sintomo caratteristico precoce e più frequente dell’arteriopatia obliterante periferica, conseguente ad occlusione dell’arteria femorale superficiale, è la claudicatio intermittens, rappresentata da dolore crampiforme ai muscoli delle gambe ( solitamente in uno o entrambi i polpacci ) durante la deambulazione, soprattutto quando si cammina in salita, dolore che sparisce in pochi minuti rallentando il passo o riposandosi. La sindrome aterosclerotica aortoiliaca, meno frequente, può provocare dolore indotto da esercizio fisico ai quadranti inferiori della schiena, alle natiche o alle cosce, oltre a impotenza sessuale ( sindrome di Leriche ). Se la claudicatio progredisce in gravità, il dolore può manifestarsi anche a riposo, in particolare durante quello notturno. Una minoranza di pazienti presenta una progressione dell’arteriopatia obliterante periferica verso una grave ischemia degli arti, con formazione di ulcere o gangrena, tanto da richiedere, nelle forme più gravi, la rivascolarizzazione chirurgica o l’amputazione dell’arto colpito.
L’evoluzione del quadro clinico dipende dal grado di ostruzione delle arterie interessate e dall’integrità ed efficienza dei circoli collaterali.

Fattori di rischio dell’arteriopatia obliterante periferica

I principali fattori di rischio di arteriopatia obliterante periferica sono gli stessi riconosciuti per altre aree vascolari, vale a dire età, fumo, diabete, ipertensione, iperlipidemia, iperomocisteinemia, sesso maschile. Attualmente sono indagati altri potenziali fattori di rischio che si ritengono correlati, in vario modo e grado, alla patologia vascolare.

L’incidenza di arteriopatia obliterante periferica aumenta con l’età, con la maggioranza di pazienti sintomatici oltre i 60 anni: è intorno allo 0.6% in soggetti di età compresa tra i 45-54 anni, 2.5% tra i 55-64 anni, 8.8% tra i 65-74 anni.
L’arteriopatia obliterante periferica tende ad essere due volte maggiore nei maschi rispetto alle donne tra 50 e 70 anni, ma quasi identica dopo i 70 anni.
Fattore di rischio altrettanto importante di patologia occlusiva aterosclerotica dei grandi vasi e di arteriopatia obliterante periferica è il diabete mellito. Circa il 25% dei pazienti di una determinata area geografica che si sottopongono a rivascolarizzazione degli arti inferiori è diabetica, e i soggetti diabetici hanno sette probabilità in più di amputazione degli arti rispetto ai non-diabetici. Tuttavia, tale aumentato rischio ha probabilmente origine multifattoriale, dipendendo innanzitutto dal processo aterosclerotico più distale e generalizzato dei diabetici, ma anche dalla concomitante neuropatia sensoriale periferica che può favorire l’ulcerazione traumatica.
Anche un’alterata tolleranza al glucosio è correlata a sviluppo di claudicatio, con un rischio che aumenta rispettivamente di due volte negli uomini e di quattro nelle donne.
Il fumo è forse il fattore di rischio più importante per lo sviluppo di arteriopatia obliterante periferica cronica, ancora più strettamente correlato a tale patologia che alla coronaropatia. Tutti gli studi epidemiologici sull’ arteriopatia obliterante periferica cronica degli arti inferiori hanno confermato che il fumo contribuisce fortemente allo sviluppo di tale patologia ed alla sua progressione verso le manifestazioni più deleterie ( claudicatio invalidante, ischemia critica, amputazione ). La probabilità d’insorgenza di arteriopatia obliterante periferica cronica è circa doppia nei fumatori rispetto ai non fumatori e la gravità della patologia è correlata alla quantità di sigarette fumate e alla durata del tempo in cui si è fumato. È tre volte più probabile che i forti fumatori sviluppino claudicatio rispetto ai non-fumatori.
L’ipertensione è un fattore di rischio comune e importante di disordini vascolari, compresa l’arteriopatia obliterante periferica cronica. Tra i soggetti ipertesi alla prima visita, circa il 2-5% presenta claudicatio, e tali percentuali tendono ad aumentare con l’età, mentre il 35-55% dei pazienti con arteriopatia obliterante periferica cronica alla prima visita mostra anche di essere iperteso. In presenza di ipertensione e di arteriopatia obliterante periferica cronica esiste un rischio notevolmente aumentato di infarto del miocardio e di ictus. Nonostante questa evidenza, nessuno dei grandi studi sul trattamento antipertensivo è stato adeguatamente indirizzato a verificare se la riduzione della pressione arteriosa determini una riduzione dell’incidenza di arteriopatia obliterante periferica cronica, e per tale motivo esiste l’ovvia necessità di condurre studi di esito in tale direzione per chiarire questi aspetti.
Circa il 50% dei pazienti con arteriopatia obliterante periferica cronica presenta iperlipidemia. Nello Studio Framingham, una colesterolemia a digiuno maggiore di 270 mg/dL è stata associata a un raddoppio dell’incidenza di claudicazione. Anche se altri studi non hanno confermato la correlazione arteriopatia obliterante periferica / ipercolesterolemia, è stato tuttavia osservato che il trattamento dell’iperlipidemia riduce la progressione dell’aterosclerosi e l’incidenza della claudicatio.
L’iperomocisteinemia è un fattore di rischio di vascolopatia aterosclerotica per vasi periferici, coronarici e cerebrali, su cui si sta concentrando l’interesse degli studiosi. Tra l’altro, è stato osservato che il grado di progressione della claudicazione è significativamente correlato ai livelli di omocisteina plasmatici. Non esistono tuttavia, al momento, studi che abbiano esaminato se il trattamento dell’iperomocisteinemia riduca gli eventi ischemici, per cui non potranno essere fatte raccomandazioni in merito a questo fattore di rischio.

Prognosi di arteriopatia obliterante periferica

La storia naturale dell’ arteriopatia obliterante periferica è stata valutata in vari studi, sia relativamente alla progressione della malattia a livello degli arti inferiori, sia in merito a morbilità/mortalità connesse alla presenza di una concomitante patologia aterosclerotica diffusa e generalizzata. Per quanto concerne gli arti, i sintomi della claudicatio sono sorprendentemente benigni, essendo il rischio di amputazione nettamente inferiore a eventi cardiovascolari e alla mortalità legati alla co-morbidità. Tra pazienti con claudicazione seguiti per 5 anni, il 75% circa rimane stabile o migliora sul piano sintomatico presumibilmente in seguito a sviluppo di circoli collaterali, il 20% sviluppa un aggravamento della claudicatio e il 5% presenta ischemia critica degli arti inferiori. Il classico studio di Bloor del 1961 ha evidenziato un’incidenza di amputazioni maggiori nel 7% dei pazienti con claudicatio dopo 5 anni e nel 12% dopo 10 anni; dati più recenti confermano che l’amputazione è un evento abbastanza raro, con rischio a 5 anni del 2%. L’amputazione è invece molto più frequente una volta che i sintomi del dolore a riposo o le ulcerazioni tissutali diventano manifesti ( ischemia critica degli arti ): in uno studio prospettico condotto in Italia, il rischio di amputazioni maggiori è risultato del 12,2% dopo solo tre mesi in caso di dolore a riposo o di ulcerazione ischemica; il rischio aumenta ulteriormente se il paziente continua a fumare o in presenza di diabete.
L’ arteriopatia obliterante periferica, sia asintomatica che sintomatica, è un segno indipendente di un quadro più ampio di aterosclerosi generalizzata e una spia del rischio di mortalità cardiovascolare notevolmente aumentato. L’arteriopatia obliterante periferica sintomatica si accompagna a un rischio di mortalità di almeno il 30% entro 5 anni e di quasi il 50% entro 10 anni, soprattutto per infarto del miocardio ( 60% ) o di ictus ( 12% ). Il rischio è più che raddoppiato in caso di arteriopatia obliterante periferica grave ( necessitante di intervento chirurgico ), ma anche i pazienti asintomatici ( indice di pressione sistolica caviglia / braccio inferiore a 0.9 ) presentano un rischio aumentato da due a cinque volte di eventi cardiovascolari fatali e non fatali.
Da questo si intuisce come una diagnosi precoce di arteriopatia obliterante periferica sia particolarmente importante al fine di instaurare una prevenzione secondaria efficace ed una corretta terapia.

Diagnosi di arteriopatia obliterante periferica

Il razionale per una diagnosi precoce di arteriopatia obliterante periferica consiste nel fatto che l’intervento successivo attuato con decisione sui fattori di rischio può ridurre significativamente la morbidità e la mortalità da arteriopatia obliterante periferica e da malattia aterosclerotica sistemica.
Lo screening routinario di arteriopatia obliterante periferica in soggetti asintomatici non è tuttavia consigliato; sintomi e segni sono invece da indagare in pazienti a rischio di tale patologia o con evidenza clinica di malattie vascolari in atto. I pazienti con i sintomi e i segni di arteriopatia obliterante periferica acuta o cronica presentano di solito almeno un fattore di rischio per tale patologia e, di frequente, altri elementi clinici tipici della malattia aterosclerotica ( ad esempio: angina, storia di infarto del miocardio, ictus ).

Una diagnosi differenziale permette di distinguere la claudicatio dal dolore agli arti inferiori di origine non-vascolare. Una claudicatio franca si osserva quando un paziente, deambulando per una certa distanza, manifesta un dolore di tipo crampiforme alle gambe, che cessa in pochi minuti di riposo, anche se il soggetto resta in piedi; viceversa, il dolore causato da lesioni a strutture nervose non si risolve sospendendo la deambulazione e, anzi, può peggiorare restando in piedi o seduti.

La localizzazione del dolore è la chiave per situare l’occlusione arteriosa: la claudicatio del polpaccio è tipicamente il risultato di una lesione sclerotica dell’arteria femorale superficiale, mentre il dolore a livello di anche, cosce, glutei si manifesta in seguito a restringimento delle arterie aorta ed iliache. Il livello anatomico delle stenosi arteriose può essere altresì rilevato mediante palpazione delle pulsazioni a livello dei distretti femorale, popliteo e della caviglia: se la patologia è confinata all’arteria femorale superficiale, si avranno pulsazioni normali a livello femorale, ma ridotte o assenti a livello popliteo o della caviglia; i pazienti con lesione aorto-iliaca non presentano neanche le pulsazioni femorali.

In pazienti con storia di claudicatio non è essenziale una conferma obiettiva della diagnosi; tuttavia, se esiste qualche dubbio, si può ricorrere alla misurazione dell’indice di pressione sistolica caviglia/braccio ( ABPI: Ankle Brachial Pressure Index ). Tale indice si ottiene ( per ogni gamba ) dividendo la più alta pressione sistolica registrata nella rispettiva caviglia per il valore sistolico più alto rilevato al braccio. Di norma, vi è un’amplificazione della pressione sistolica ad un grado più elevato nella gamba, essendo la pressione sistolica a livello della caviglia maggiore di quella del braccio. Ciò significa che i valori pressori alle tibiali anteriori e posteriori della caviglia dovrebbero essere almeno uguali o superiori a quelli rilevati al braccio. Pertanto, una ABPI normale è maggiore di 1 ( a causa della variabilità delle misurazioni, è accettato come normale un valore maggiore di 0.95, con un range di variazione di + 0.15 ). Valori inferiori a 0.92 indicano un’arteriopatia; valori superiori a 0.5 ma inferiori a 0.9 possono associarsi a claudicatio; per valori al di sotto di 0.5 si osservano dolore a riposo, ulcerazione ischemica o gangrena. Anche in assenza di sintomi, i pazienti con valori bassi di ABPI ( ad esempio, meno di 0.7 ) presentano un’arteriopatia periferica di grado maggiore e il loro rischio di incorrere in eventi cardiovascolari è simile a quello dei pazienti con claudicatio. Valori apparentemente normali di ABPI possono essere riscontrati in pazienti diabetici anche in presenza di claudicatio, e ciò è dovuto a calcificazione arteriosa mediale e incompressibilità dei vasi, per cui le pressioni possono essere erroneamente alte. Se la diagnosi resta in dubbio, il paziente dovrebbe essere inviato allo specialista vascolare. L’ABPI può essere facilmente misurato in medicina primaria con il tradizionale sfigmomanometro o mediante indagine con Doppler a ultrasuoni portatile, che consente di misurare la pressione nelle braccia e nelle gambe.

Trattamento dell’arteriopatia obliterante periferica

Il trattamento dell’arteriopatia obliterante periferica si pone complessivamente un triplice obiettivo:

1) riduzione della progressione della malattia aterosclerotica generalizzata e, di conseguenza, della morbilità e mortalità cardiovascolare;

2) trattamento di sintomi specifici al fine di migliorare la capacità funzionale e la qualità di vita del paziente ( ad esempio: aumentare la deambulazione massima prima che si manifesti dolore, assicurare una condizione di analgesia a pazienti con dolore persistente );

3) prevenzione delle complicazioni agli arti inferiori ( ulcere, gangrena, amputazioni ).

I più importanti fattori di rischio di arteriopatia obliterante periferica sono rappresentati da fumo, diabete, ipertensione, dislipidemia, ecc. Anche se non vi sono dimostrazioni forti a sostegno della correlazione tra trattamento di tali fattori di rischio e miglioramento di esiti cardiovascolari in soggetti con arteriopatia obliterante periferica, esiste tuttavia la convergenza unanime di esperti che raccomandano il loro trattamento, e ciò sulla base della estrapolazione di risultati da studi su pazienti con altre forme di patologie cardiovascolari.

Riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare: modifiche dello stile di vita

Astensione dal fumo – Il fumo è il fattore di rischio più importante per lo sviluppo e la progressione dell’arteriopatia obliterante periferica. L’astensione dal fumo riduce rapidamente il rischio, anche se possono essere necessari 20 anni o più prima che scompaia del tutto. I pazienti con arteriopatia obliterante periferica devono pertanto essere incoraggiati ed aiutati in tutti i modi a smettere di fumare, anche ricorrendo a misure farmacologiche ( Nicotina, Bupropione ), ed esortati a non riprendere.

Attività fisica riabilitativa - L’utilità dell’attività fisica riabilitativa basata sulla deambulazione è stata dimostrata dal 1966, quando il primo studio controllato e randomizzato sull’esercizio fisico in soggetti con arteriopatia obliterante periferica evidenziò un marcato miglioramento nella distanza percorsa. Gli obiettivi primari di questo studio e di altri successivi sono rappresentati dal tempo o distanza massimi di deambulazione e dal tempo o distanza massimi di deambulazione senza dolore, opportunamente misurati. Nei pazienti con claudicatio, l’attività fisica regolare ( per 3-15 mesi ), attuata sotto la direzione di fisioterapisti, aumenta l’autonomia di marcia senza dolore di 107-225 metri e il tempo massimale di deambulazione di 6.5 minuti circa. Un miglioramento di grado maggiore sembra ottenersi quando i pazienti svolgono attività fisica al punto di dolore quasi massimale per più di 30 minuti per sessione, almeno tre volte la settimana per almeno sei mesi, con preferenza accordata alla deambulazione piuttosto che ad altri esercizi. Ciò viene consigliato anche dal National Service Framework on Coronary Heart Disease per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e il mantenimento di un buono stato di salute. Esistono invece delle perplessità sul valore dell’attività eseguita senza supervisione di esperti, ma attuata solo su consiglio, nel migliorare l’autonomia di marcia dei pazienti con arteriopatia periferica. Ai pazienti dovrebbe essere raccomandato di: a) camminare lentamente per massimizzare la distanza percorsa prima che insorga dolore; b) evitare traumi ai piedi che possano favorire ulcerazioni e infezioni cutanee ( in particolare, in caso di pazienti con neuropatia diabetica ); c) segnalare prontamente al proprio medico qualsiasi trauma ai piedi, dolore a riposo, o modificazioni marcate del colore o della temperatura della cute.
Il principale fattore che limita il successo della terapia fisica è la mancanza di motivazioni da parte del paziente; per tale ragione, i programmi più produttivi combinano sessioni regolari di esercizi fisici, attuati sotto il controllo diretto di esperti, con l’attività fisica svolta a domicilio.
Le condizioni che escludono la terapia basata sull’attività fisica sono: angina pectoris instabile; bronco pneumopatia cronica ostruttiva debilitante; insufficienza cardiaca congestizia sintomatica; gravi manifestazioni di ischemia degli arti, quali gangrena o ulcerazione, che richiedono la rivascolarizzazione. Più che l’intensità dell’attività fisica, va sottolineata l’importanza della regolarità dell’esercizio, possibile ed utile anche in presenza di qualsiasi altra condizione di comorbidità ( coronaropatia, diabete, ecc. ).

Consigli dietetici e riduzione del peso - I consigli dietetici sono finalizzati alla prevenzione della progressione della malattia aterosclerotica e delle sue complicazioni. La dieta deve essere bilanciata ed includere meno grassi ( in particolare acidi saturi ), meno sale, cinque porzioni al giorno di frutta o vegetali, almeno due porzioni di pesce alla settimana. Nei pazienti obesi, anche la riduzione del peso può migliorare la distanza percorsa riducendo le richieste fisiologiche a livello cardiaco e dei muscoli degli arti inferiori. Non esiste una dimostrazione adeguata per suggerire che additivi dietetici quali olio di pesce, aglio, vitamine antiossidanti, vitamine che abbassano i livelli plasmatici di omocisteina ( ad esempio, Acido folico ) siano utili trattamenti dell’arteriopatia periferica.

Altre misure che riguardano lo stile di vita - Tutti i pazienti con arteriopatia obliterante periferica, specialmente se diabetici, devono essere istruiti sulla cura appropriata dei piedi ( ad esempio, come tenerli puliti, tagliare correttamente le unghie ), al fine di prevenire traumi ed infezioni. Ad essi si deve inoltre raccomandare di non indossare calzature che possano ulteriormente compromettere la circolazione arteriosa.

Il trattamento farmacologico

Controllo della glicemia - In presenza di diabete, sono di fondamentale importanza uno scrupoloso controllo della glicemia e il mantenimento di valori normali, essenziali per la prevenzione secondaria di eventi cardiovascolari e di complicazioni lesive ai piedi.

Controllo della pressione arteriosa - Anche se gli effetti del trattamento antipertensivo sulla storia naturale della malattia aterosclerotica non sono stati valutati in modo specifico in pazienti con arteriopatia obliterante periferica, esiste un consenso unanime a supporto della terapia antipertensiva, se necessaria. Ad esempio, le linee-guida del Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure includono l’arteriopatia periferica quale marker di malattia cardiovascolare e suggeriscono nei pazienti con tale patologia il mantenimento di valori pressori al di sotto di 130/85 mmHg. Va tuttavia ricordato che, accentuando l’ischemia, il trattamento antipertensivo può causare claudicatio in pazienti precedentemente asintomatici.
La terapia di prima scelta dell’ipertensione in pazienti con arteriopatia obliterante periferica dovrebbe essere rappresentata da un tiazidico a basse dosi. Se la pressione arteriosa non è controllata con tale trattamento, può essere aggiunto un secondo farmaco, un beta1-bloccante selettivo ( ad esempio, Atenololo o Metoprololo ) oppure un calcio antagonista diidropiridinico a lunga durata d’azione. Studi non controllati hanno suggerito che i beta1-bloccanti possono scatenare o peggiorare i sintomi di un’arteriopatia obliterante periferica, ma tutto ciò non ha trovato conferma in studi controllati e randomizzati. Tutti i beta-bloccanti sono tuttavia controindicati in pazienti con grave arteriopatia obliterante periferica ( ad esempio, con ischemia critica degli arti inferiori ) ed è corretto interrompere una terapia con questi farmaci in coloro che presentano deterioramento dei sintomi dopo che se ne è iniziato l’impiego.
Controverso è l’utilizzo degli Ace inibitori nell’ arteriopatia obliterante periferica. Secondo alcuni non dovrebbero essere impiegati, soprattutto nelle forme gravi della malattia, in quanto i pazienti presentano un’alta prevalenza di stenosi od occlusione dell’arteria renale. In tali soggetti aumenta pertanto il rischio di insufficienza renale. In uno studio recente ( Heart Outcomes Prevention Evaluation Study ), è stato evidenziato che il Ramipril, un Ace-inibitore, riduce significativamente il tasso di mortalità cardiovascolare, di infarto del miocardio e di ictus ( endpoint primari ) in un’alta percentuale di pazienti ad elevato rischio di tali eventi. Ora, tra i 9.297 soggetti dello studio, 4.051 presentavano arteriopatia periferica e in essi fu osservata una riduzione di endpoint cardiovascolari primari simile a quella dei pazienti senza arteriopatia periferica, il che sta a dimostrare l’efficacia del Ramipril nel ridurre il rischio di eventi ischemici fatali e non-fatali in caso di arteriopatia periferica. I risultati dello studio non possono tuttavia essere spiegati sulla base dell’effetto del Ramipril sulla pressione arteriosa, in quanto la maggioranza dei pazienti non presentava ipertensione alla linea di base dello studio e il decremento pressorio medio era stato di circa 2 mmHg. Le conclusioni sull’efficacia del Ramipril osservate in questa ricerca sono state tratte con analisi di sottogruppo, e che il ruolo degli Ace inibitori non è stato finora indagato in studi prospettici, randomizzati, nella sola popolazione con arteriopatia periferica. Questo tipo di studi sarebbe certamente utile prima di poter formulare precise raccomandazioni di trattamento. Se si decide di somministrare un Ace inibitore, la funzionalità renale dovrebbe essere attentamente monitorata prima e durante l’uso del farmaco.

Terapia antiaggregante - La terapia con Acido Acetilsalicilico ( ASA ) può modificare la storia naturale dell’arteriopatia obliterante periferica, ritardandone la progressione e la necessità della rivascolarizzazione. L’effetto favorevole dell’ASA è molto probabilmente dovuto alla prevenzione o al ritardo della trombo genesi piastrinica sulla superficie della placca aterosclerotica, mentre non sembra sia in grado di influenzare la progressione dell’aterosclerosi . L’argomento più convincente per somministrare ASA in presenza di arteriopatia obliterante periferica è di prevenire la mortalità o la disabilità per ictus o infarto del miocardio: nonostante una prognosi sostanzialmente favorevole relativamente agli arti inferiori, va sempre ricordato che la claudicatio è un segno infausto di un’aterosclerosi diffusa, che aumenta di due-tre volte la mortalità cardiovascolare rispetto ai soggetti della stessa età senza tale patologia. Nella meta-analisi Antiplatelet Trialists, furono analizzati 31 studi randomizzati relativi a più di 29.000 pazienti con patologia vascolare: i risultati dimostrarono in modo convincente che una terapia a lungo termine con ASA riduceva significativamente la mortalità vascolare totale, così come ictus ed infarti del miocardio non-fatali. In un successivo aggiornamento di questa meta-analisi, vennero presi in considerazione 174 studi randomizzati di terapie antiaggreganti in più di 100.000 soggetti; tra i pazienti ad alto rischio, il trattamento con ASA ( 75-325 mg al giorno ), aveva dimostrato il suo effetto protettivo, riducendo l’infarto del miocardio e l’ictus non fatali di un terzo, e la mortalità per ogni causa vascolare di circa un sesto. L’efficacia dell’ASA è stata dimostrata anche in sottogruppi specifici di pazienti con insufficienza arteriosa periferica e ricostruzioni arteriose infrainguinali.
I pazienti dovrebbero essere informati che è improbabile che la terapia con ASA aumenti il percorso di marcia e che è attuata soprattutto per prevenire le complicazioni cardiovascolari.
La Ticlopidina è un farmaco antiaggregante che ha dimostrato effetti favorevoli nell’arteriopatia obliterante periferica in quanto riduce i sintomi della claudicatio, aumenta la deambulazione e migliora l’ABPI. È stata pure dimostrata una significativa riduzione della mortalità generale in pazienti con claudicatio trattati con Ticlopidina rispetto a quelli trattati con placebo, dovuta ad una marcata diminuzione delle morti coronariche. Nell’arteriopatia obliterante periferica la Ticlopidina, 250 mg due volte al giorno, può essere considerata di seconda scelta, in alternativa all’ASA a basse dosi, in coloro che hanno manifestato gravi effetti indesiderati da ASA o hanno avuto eventi cerebrovascolari, nonostante il trattamento antiaggregante con Acido Acetilsalicilico. La Ticlopidina può provocare effetti indesiderati di tipo ematologico anche molto gravi, quali neutropenia ( in circa il 2.3% dei pazienti trattati ) e porpora trombotica trombocitopenia ( 1:1600-5000 pazienti ).
Il Clopidogrel è un antiaggregante piastrinico strutturalmente molto simile alla Ticlopidina dalla quale differisce unicamente per la presenza nella sua molecola di un gruppo carbossimetilico. L’efficacia di tale farmaco è stata studiata mediante una ricerca comparativa denominata CAPRIE, che ha confrontato Clopidogrel 75 mg al giorno con Acido Acetilsalicilico 325 mg al giorno, somministrati a oltre 19.000 pazienti con malattia vascolare aterosclerotica accertata ( ictus ischemico recente, infarto del miocardio, AOP sintomatica ). Questo studio ha evidenziato una differenza modesta nell’efficacia del Clopidogrel versus Acido Acetilsalicilico per quanto concerne l’evento principale misurato ( ictus, infarto del miocardio, morte vascolare ), marginalmente significativa e inferiore rispetto alla stima di riduzione su cui era stato dimensionato lo studio ( incidenza di eventi per anno 5.32% gruppo Clopidogrel vs 5.83% gruppo Acido Acetilsalicilico; riduzione rischio relativo dell’8.7%; p=0,043 ). Ciò sta a significare che si potrebbe prevenire un evento vascolare ogni 196 pazienti trattati per un anno con Clopidogrel anziché con Aspirina. Un vantaggio isolato è stato riscontrato nel sottogruppo di pazienti con arteriopatia obliterante periferica, anche se tale endpoint non rientrava nelle ipotesi su cui era stata disegnata la ricerca. Riguardo agli effetti collaterali, il Clopidogrel, similmente alla Ticlopidina e all’Acido Acetilsalicilico, può causare emorragia gastrointestinale ed è controindicato in pazienti con sanguinamento attivo ( ad esempio, dovuto ad ulcera peptica ). Dopo la sua commercializzazione, sono comparse in letteratura segnalazioni di porpora trombotica trombocitopenica, sindrome emolitica-uremica, nefropatia membranosa, etc.

Terapia anticoagulante - Nei pazienti con arteriopatia obliterante periferica, la terapia anticoagulante non migliora la distanza di marcia, né riduce il tasso complessivo di mortalità o previene eventi cardiovascolari non fatali; può invece aumentare il rischio di eventi emorragici maggiori.
Alla terapia anticoagulante non si dovrebbe pertanto ricorrere di routine in caso di arteriopatia obliterante periferica, ma solamente quando si rendesse del tutto necessaria ( ad esempio, quando è eseguito un impianto di bypass ).

Terapia della dislipidemia - Non esistono studi specifici che abbiano indagato l’effetto della terapia ipocolesterolemizzante su morbidità e mortalità cardiovascolare in pazienti con arteriopatia obliterante periferica. La conclusione di una meta-analisi di studi randomizzati su 698 pazienti con arteriopatia periferica trattati con varie terapie è che la gravità della claudicazione era ridotta dal trattamento ipolipemizzante. In un’analisi di sottogruppo, lo studio 4S ha evidenziato che ad una riduzione della colesterolemia con Simvastatina corrispondeva una riduzione del 38% del rischio di comparsa di claudicazione o di una sua progressione verso gli stadi più avanzati della malattia.
Nonostante la carenza di studi specifici, a tutti i pazienti con arteriopatia obliterante periferica dovrebbe essere proposto un trattamento preventivo a lungo termine con una statina con l’obiettivo di abbassare il colesterolo totale al di sotto di 5 mmol/L, o del 20-25% qualunque sia il suo valore attuale ( o portare le LDL a valori inferiori a 3 mmol/L o ridurle del 30% ). Questo perché l’arteriopatia obliterante periferica è quasi sempre una spia di aterosclerosi generalizzata, ad alto rischio di eventi cardiovascolari gravi.

Farmaci anticlaudicatio - Il farmaco ideale per il trattamento dell’arteriopatia obliterante periferica agli arti inferiori dovrebbe dilatare i vasi diretti e collaterali soltanto nelle zone ischemiche, senza ridurre la pressione arteriosa sistemica. Anche se ancora utilizzati, numerosi farmaci vasodilatatori proposti per il trattamento dell’arteriopatia obliterante periferica non si sono dimostrati, in studi clinici, efficaci nell’aumentare il flusso di sangue negli arti inferiori portando a remissione dei sintomi. E ciò dipende dal fatto che le dimensioni dei vasi maggiori sono determinate dal processo aterosclerotico in atto e i vasi collaterali sono già di per sé massimamente dilatati. Nessuno dei farmaci vasodilatatori ha inoltre dimostrato di possedere azione selettiva sui vasi sclerotici, essendo piuttosto vero il contrario e cioè che sono i vasi indenni a risentire eventualmente di un’azione dilatante, con il rischio di un’ulteriore sottrazione di sangue dalla zona ipoperfusa.
Nei pazienti con arteriopatia obliterante periferica è stato riportato che la Pentossifillina, un emoreologico, è in grado di migliorare la deformabilità eritrocitaria anomala, di ridurre la viscosità del sangue e di diminuire la reattività piastrinica e l’ipercoagulabilità plasmatica. Su tale farmaco sono stati condotti numerosi studi clinici, in alcuni dei quali è apparso statisticamente più efficace del placebo nel migliorare la deambulazione, mentre in altri tale beneficio non è stato riscontrato. Nella maggior parte degli studi, anche i pazienti sottoposti a placebo hanno dimostrato un significativo miglioramento della distanza percorsa e questo fatto tende ad oscurare i benefici attribuibili al trattamento attivo. In base ad una revisione critica degli studi, si è giunti alla conclusione che il miglioramento reale della distanza percorsa attribuibile alla Pentossifillina è spesso imprevedibile, può essere clinicamente non importante se paragonato agli effetti del placebo e, nella maggior parte dei pazienti, non giustifica la spesa. La Pentossifillina può avere un ruolo in rari pazienti con claudicatio severa che non si impegnano a sufficienza o non rispondono all’attività fisica.
Altri farmaci risultati inefficaci nel trattamento dell’arteriopatia obliterante periferica sulla base dei risultati di studi clinici controllati e, in particolare della claudicatio e del dolore a riposo, sono Suloctidil, Nifedipina, supplementi a base di olio di pesce, e la terapia chelante con EDTA ( Acido etile diammino Tetracetico ).
In definitiva, anche se i risultati di alcuni studi possono suggerire che taluni farmaci sono in grado di determinare un miglioramento più o meno significativo del percorso di marcia, i risultati sono di solito modesti e comunque sempre inferiori rispetto a quelli raggiungibili con l’attività fisica attuata sotto la direzione di esperti, che offre ulteriori benefici di prevenzione e a cui conviene sempre dare, quando possibile, la preferenza. ( Xagena2002 )

Fonte: BIF, 2002


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