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L’iperomocisteinemia, il nuovo colesterolo


Si è svolta recentemente a Basilea la 4° Conferenza Internazionale sul Metabolismo dell’Omocisteina. All’evento hanno partecipato i maggiori esperti mondiali del settore, nonchè autori della più significativa letteratura finora pubblicata sull’argomento; tra questi, il prof. Rosenberg e il prof. Selhub della prestigiosa Tufts University di Boston, la prof.ssa Refsum dell’Università di Oxford, i prof. Graham e Scott del Trinity College di Dublino.

Molte sono state le relazioni presentate nell’ambito della ricerca di base, come la biologia molecolare e la genetica, tutte mirate alla comprensione degli ancora poco noti e molteplici meccanismi con cui l’eccesso di omocisteina può causare danni metabolici ed organici a vari livelli.

L’iperomocisteinemia è infatti uno dei nuovi fattori di rischio, riconosciuto ormai da alcuni anni, per tutta una serie di patologie: dalle complicanze gravidiche alla trombosi, dalla coronaropatia allo stroke, dall’aterosclerosi dei vasi periferici al deficit delle funzioni cognitive nell’anziano e malattia di Alzheimer; vi sono anche alcune evidenze sperimentali che l’associano al rischio di carcinoma del colon-retto.

L’iperomocisteinemia è stata definita il nuovo colesterolo poichè, come l’ipercolesterolemia, è un killer silenzioso di significativo riscontro epidemiologico.

Analogamente al colesterolo, inoltre, la riduzione dei livelli plasmatici di omocisteina riduce il rischio di malattia. La terapia in grado di abbassare l’omocisteinemia, la nuova statina, se si vuole proseguire nel paragone, è la supplementazione con i folati e la vitamina B12. La somministrazione di questi agenti terapeutici, efficaci, poco costosi e soprattutto privi di effetti collaterali, comporta una riduzione della concentrazione di omocisteina nel sangue mediamente del 30% rispetto ai valori basali.

Oltre a questo ben noto effetto di abbassamento dell’omocisteinemia, i folati sembrano però dimostrare ulteriori benefici terapeutici. Infatti, tra i dati clinici più nuovi ed interessanti presentati al Congresso vi sono quelli relativi agli effetti della supplementazione folica sulle alterazioni morfologiche e funzionali che sono alla base del processo aterosclerotico, come la disfunzione dell’endotelio, lo stress ossidativo e le alterazioni della parete vascolare.

Uno studio condotto da Ricercatori dell’Università di Cardiff ha dimostrato che alte dosi di 5-metiltetraidrofolato ( 5-MTHF ), la forma più fisiologica dei folati, migliorano significativamente e rapidamente ( risposta acuta entro poche ore ) la vasodilatazione endotelio-dipendente in pazienti coronaropatici.

Un altro studio italiano ( Ospedale S.Raffaele di Milano e Università Federico II di Napoli ) ha invece dimostrato una riduzione dell’escrezione urinaria di un marker dello stress ossidativo in vivo, l’isoprostano-8, in pazienti con pregressi eventi trombotici, trattati per 28 giorni con 15 mg/die di 5-MTHF.

Questo tipo di folato ha inoltre dimostrato in vitro di inibire l’ossidazione delle lipoproteine VLDL ed LDL in modo dose-dipendente ( studio dell’Università di Belfast ).

Infine, un gruppo di Ricercatori tedeschi ha presentato i risultati dello studio prospettico JAVIS ( Jena Atherosclerosis Vitamin Intervention Study ), che hanno dimostrato un significativo effetto di riduzione dello spessore della parete intima-media carotidea dopo 6 e 12 mesi di trattamento con folati in pazienti a rischio di ischemia cerebrale.

Alla luce di questi dati la Società Scientifica Europea D.A.CH.-Liga Homocysteine ha proposto delle lineeguida per individuare i target di pazienti a rischio e definire l’approccio diagnostico e terapeutico dell’iperomocisteinemia.

Secondo questo gruppo di clinici la supplementazione farmacologica con folati dovrebbe rappresentare una decisione terapeutica di routine del medico nei pazienti con patologia cardiovascolare conclamata e nei pazienti a rischio cardiovascolare e cerebrovascolare.

Oltre al settore cardiovascolare, l’importanza del fattore di rischio iperomocisteinemia , e della terapia vitaminica , è stata sottolineata anche in campo ostetrico-ginecologico.

E’ noto ormai da tempo che gravi malformazioni congenite, come i difetti di chiusura del tubo neurale, sono eziopatogeneticamente correlati al deficit di folati. Ciò comporta l’alterazione delle vie metaboliche di metilazione e l’accumulo di omocisteina, che sembra esplicare anche un’azione embriotossica diretta sui processi di neurulazione. La supplementazione in epoca periconcezionale con folati è in grado di ridurre significativamente l’incidenza di queste malformazioni, tanto che ormai è entrata nella normale pratica clinica di controllo della gravidanza.

Molte altre complicanze gravidiche sono però associate ad elevati valori di omocisteina e bassi valori di folato: preeclampsia, ritardo di crescita intrauterina, poliabortività per citarne alcune. Si sta quindi affermando la convinzione che la supplementazione folica non sia da limitare al primo trimestre di gravidanza, ma vada continuata per tutta la durata della gestazione e da alcuni clinici è stata sottolineata l’opportunità di aggiornare le attuali lineeguida.

In conclusione, da questo Congresso è emerso che l’iperomocisteinemia rappresenta una condizione di rischio non solo come singolo fattore ma anche come fattore potenzialmente sinergico con altri fattori di rischio, quali l’iperlipidemia ed il fumo.

La terapia con i folati è in grado di correggere il dato biochimico dell’elevata concentrazione plasmatica di questo aminoacido solforato.

Le attese sono ora rivolte alla conferma della correzione del dato clinico, cioè la riduzione del numero di eventi patologici associati agli elevati livelli di omocisteina. Una decina di ampi trial clinici prospettici, multicentrici ed internazionali, sono attualmente in corso e potranno fornire questa risposta tra un paio d’anni. ( Xagena2003 ) Cardio2003


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